Con la legge 9 gennaio 2004 n. 6 è stata introdotta in Italia la figura dell’amministratore di sostegno, una vera e propria rivoluzione giuridica e culturale nella protezione delle persone fragili.

L’articolo 1 prevede infatti che “la presente legge ha la facoltà di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.

Le motivazioni che hanno portato il legislatore ad approvare questa legge – indubbiamente una buona legge – hanno tratto spunto dalla esperienza della scienza medica, affiancata da quella sociologica e giuridica, nonché dalla maturazione di una nuova consapevolezza culturale nei confronti delle persone cosiddette fragili.

Lo stato di fragilità delle persone è la conseguenza di una situazione di disagio – anche temporaneo, ma non occasionale – derivante non solo da patologie psicofisiche più o meno invalidanti, ma anche da criticità ambientali.

Lo stato di fragilità conseguente a disagio diventa rilevante quando va ad incidere sulla capacità relazionale della persona e, come si esprime la legge, sulla idoneità a gestire “le funzioni della vita quotidiana”.

La giurisprudenza è progressivamente pervenuta ad una interpretazione estensiva della norma, ampliando i confini del disagio e della protezione.
La legge n. 6 è stata strutturata mediante il richiamo a norme del codice civile, adeguandole e modificandole opportunamente.

Il primo articolo del codice civile interessato è il 404, che chiarisce quali sono i soggetti meritevoli della tutela. In concreto la tutela è stata poi disposta in favore di una ampia categoria di beneficiari, grazie, come evidenziato, ad una interpretazione estensiva della giurisprudenza, che ha trovato nella stessa Cassazione il suo approdo (ex multis: n.5492/18>).

A titolo meramente esemplificativo l’amministratore di sostegno è stato concesso in presenza di patologie psichiatriche, di ritardo mentale, di sindrome di down, di autismo, di malattia di Alzheimer, di demenze, di abuso di sostanze stupefacenti, di alcolismo, di prodigalità, di shopping compulsivo, di ludopatia, di degrado relazionale ed ambientale ecc.

Gli articoli 406 e 417 del codice civile, così come riformulato dalla legge n. 6, offrono la disciplina per “attivare” l’amministrazione di sostegno. L’attivazione della procedura parte da un ricorso che viene indirizzato al giudice tutelare (presente in ogni Tribunale) perché disponga l’amministrazione di sostegno, nominando un amministratore e impartendogli le direttive necessarie.

Il ricorso può essere presentato dal Pubblico ministero, dal beneficiario della misura, dal coniuge e dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore e dal curatore, dai responsabili dei servizi sanitari e sociali. Il Giudice tutelare, ricevuto il ricorso, procede ad una istruttoria, acquisendo la documentazione necessaria e ascoltando il proponente, il beneficiario ed eventuali parenti o persone in grado di portare elementi utili alla decisione.

Non si tratta di un processo e la posizione del beneficiario non può in modo assoluto essere equiparata a quella di un imputato. Il Giudice tutelare può accogliere o respingere la richiesta di nomina dell’amministratore formulata con il ricorso. La sua decisione può essere reclamata in Corte d’Appello.
Qualora il Giudice accolga la richiesta designa l’amministratore di sostegno, precisa la durata della protezione (oppure la prescrive a tempo indeterminato), impartisce le direttive vincolanti.

La giurisprudenza è intervenuta per supportare la decisione del Giudice. Egli dovrà valutare se l’amministrazione di sostegno si palesi come superflua. Tale circostanza si palesa allorché il soggetto possa avvalersi di una adeguata
protezione familiare, meglio se assistita da un efficace sistema di deleghe (ad esempio: delega a riscuotere la pensione, ad operare sui conti correnti ecc..).

La scelta dell’amministratore segue le regole stabilite dall’articolo 408 del codice civile riformulato.
In primo luogo deve essere valorizzata l’eventuale designazione effettuata dal beneficiario in previsione della propria futura incapacità (mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata).
Se manca la designazione preventiva, il Giudice – sentito il beneficiario – deve far cadere la propria scelta sul coniuge non separato legalmente, sulla persona stabilmente convivente, su uno dei genitori o dei figli o dei fratelli, su un parente entro il quarto grado.

In caso di mancanza di tali persone, e comunque per ragioni di opportunità motivate, il Giudice tutelare può ricorrere ad un soggetto terzo di propria fiducia.

Dunque le norme attribuiscono molta importanza alla famiglia. La protezione della famiglia di per sé rende inutile l’amministrazione di sostegno. Ma può rivelarsi insufficiente o inidonea per mancanza delle attribuzioni e dei poteri necessari alla protezione stessa (ad esempio nella gestione delle risorse finanziarie, in ambito sanitario, nella conduzione del badantato, nella cura del patrimonio immobiliare ecc..)

L’amministrazione di sostegno affidata ad un familiare rafforza in qualche modo la protezione familiare.
Il Giudice Tutelare, ai sensi dell’articolo 405 riformulato, prescrive le direttive ed attribuisce i poteri all’amministratore di sostegno. La decisione del Giudice è improntata ad ampia discrezionalità e flessibilità e deve sempre privilegiare gli interessi del beneficiario.
Non rileva invece nelle determinazioni del Giudice la posizione di terzi nelle loro eventuali aspirazioni ereditarie, che in ipotesi ricevono una tutela solo indiretta.

I poteri attribuiti all’amministratore di sostegno riguardano due tipologie di atti, quelli che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno e quelli che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario.
Resta fermo che il beneficiario non perde la capacità di agire e che – salvo diversa prescrizione del Giudice – egli può in ogni caso porre in essere i cosiddetti “atti minimi” a supporto della quotidiana esistenza (ad esempio, acquistare un giornale ecc.).

Solo a titolo esemplificativo l’amministratore di sostegno può occuparsi della cura della salute – eventuali scelte sanitarie, rapporti con il personale medico, espressione del consenso informato – e degli aspetti relazionali e sociali, quali la scelta del luogo dove vivere, la ricerca di una occupazione lavorativa ecc.
L’amministratore inoltre può curare il patrimonio e la gestione reddituale del beneficiario, mediante l’amministrazione dei beni mobili – stipendi, pensioni, titoli ecc.. – e immobili.

L’amministratore, pur non essendo tenuto alla tenuta dell’inventario, deve presentare periodicamente al Giudice il rendiconto della gestione. In quanto ritenuto per costante giurisprudenza pubblico ufficiale, commette il reato di peculato se indebitamente si appropria di somme.

In tutte le eventuali ipotesi di contrasto fra l’amministratore di sostegno e il beneficiario decide il Giudice tutelare.
L’amministratore cessa dalle funzioni per dimissioni, per decisione del giudice a seguito di comprovata inosservanza delle proprie direttive, d’ufficio o su segnalazione dei soggetti legittimati al ricorso.